Mentre si vuole abolire il tetto ai contanti, la Ue ci ricorda che il nostro Paese è al top per l’Iva non versata. Nelle transazioni tra privati sottratte all’Erario somme per 35 miliardi. In attesa della fattura elettronica…
di Giorgio Frasca Polara
25/06/2018

L’Italia è ancora una volta in testa nell’Unione europea per Iva non pagata. Un calcolo del sommerso, cioè della truffa, dà una differenza di 35 miliardi tra imposta dovuta e imposta effettivamente versata. Il confronto tra Italia e gli altri paesi comunitari è stato fatto dalla Commissione europea che segnala anche una modesta riduzione dell’evasione italiana da 40.818 ad, appunto, 35.095 miliardi nell’arco di un quinquennio. Poca cosa, tanto più che la diminuzione non è dovuta ad una resipiscenza, come dire “morale”, dei truffatori ma alla adozione di uno strumento – lo split payment – in qualche misura efficace per l’Erario ma più oneroso per le imprese. Si tratta del meccanismo per cui è direttamente la pubblica amministrazione a versare l’Iva nelle operazioni con i fornitori privati.
Ma resta il nodo delle operazioni da privato a privato: mercati, commercio minuto, ristorazione, caffetterie, ecc. Più efficace potrebbe rivelarsi l’arrivo (con il 1° gennaio dell’anno prossimo) della fattura elettronica, che supera lo split, che è generalizzata e che è ritenuta arma più efficace anche se con un limite rilevato dal Sole24Ore: l’omessa fatturazione, soprattutto se riguarda l’intero ciclo, non sarebbe comunque tracciata e resta comunque a valle il problema dell’Iva sul consumo finale.
Ma restiamo all’enormità della truffa italiana. Già, perché il paragone tra i primi cinque paesi dell’Unione certifica non solo il peso in valore assoluto del Vat gap (cioè il differenziale tra imposta dovuta e imposta pagata) ma anche il peso percentuale sul totale dell’Ue. Ebbene, con i suoi 35 miliardi di Iva evasa, l’Italia pesa per il 23,2% sul totale comunitario, mentre la Germania pesa per il 14,8 (malgrado un aumento dell’evasione tra 20.589 a 22.366 miliardi); il Regno Unito è praticamente allineato alla Germania nel peso (14,7) ma c’è un aumento assai maggiore dell’evasione: da 12.696 a 22.210 miliardi nello stesso quinquennio. Il peso dell’evasione francese nel totale Ue è del 13,3%, e solo del 6,4 in Polonia.
A proposito di truffe, c’è da segnalarne un’altra, anch’essa tutta italiana: la sezione antifalsificazione monetaria dei carabinieri ha scoperto l’esistenza di un mercato della contraffazione delle “tacche” adesive dell’imposta di bollo e dei contributi unificati utili a iscrivere a ruolo cause civili e amministrative presso i tribunali. Secondo il colonnello Francesco Ferace, a capo del comando antifalsificazione, il mercato nero delle tacche sarebbe talmente ampio da essere considerato una emergenza nazionale, una piaga che investirebbe non solo i tribunali ma soprattutto i giudici di pace dove “è stata riscontrata una larga diffusione di pratiche con marche da bollo false” ma talmente precise da ingenerare confusione.
Impossibile compiere un’analisi di tutte le pratiche depositate in tutti i tribunali e presso i giudici di pace ma basti dire che in una sola indagine a campione si è scoperto il coinvolgimento di ben 600 studi legali nell’uso di marche contraffatte. Da dove vengono queste “tacche”? Sono ricreate in laboratori utilizzando bobine prodotte in Cina, ma c’è la prova che parecchie marche (originali) sono state sottratte al Poligrafico dello Stato da dipendenti compiacenti. Risultato parzialissimo: contributi unificati per 2 milioni di euro sono stati sequestrati; e oltre 106mila rotoli in bianco, pronti per essere trascritti, sono stati trovati in covi di falsari. Calcolano i Carabinieri che la frode erariale potrebbe superare il miliardo di euro.
Come rimediare? L’ipotesi a cui si è cominciato a lavorare prevede un metodo di pagamento remoto, esclusivamente on line o comunque di rapido riscontro dal momento che è impossibile riconoscere ad occhio nudo una marca da bollo falsificata…

Tratto da RADIOARTICOLO1 – quotidiano online Cgil